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L’Abruzzo nelle pagine di D’Annunzio

<h2>L’Abruzzo nelle pagine di D’Annunzio</h2>

È un rapporto complesso quello che Gabriele D’Annunzio ha sempre mantenuto con la sua terra d’origine, un forte legame, fatto di momenti di attrazione e di spinte alla fuga, in alcuni momenti quasi di rifiuto. Nelle sue opere i luoghi dell’Abruzzo ricorrono spesso, a volte con riferimenti espliciti a esperienze realmente vissute dall’autore. Del resto, non si tratta di mere ambientazioni: separare biografia e scrittura riferendosi a D’Annunzio è operazione ardua e forse impossibile, poiché egli stesso concepiva la vita come la più importante, se non la più riuscita, opera d’arte. Gli scenari sono molti e carichi di suggestione, a partire dalla natia Pescara, che accolse gli anni dell’infanzia. Una mappa molto ricca di luoghi e riferimenti abruzzesi è rintracciabile in modo particolare nel Trionfo della morte, romanzo pubblicato a Milano da Treves del 1894, ma uscito a puntate negli anni precedenti sul supplemento del Mattino di Napoli. La stesura del Trionfo della morte, avviata nel 1889, durò alcuni anni, in parte trascorsi in Abruzzo, e l’opera è comunque apertamente dedicata alla «nostra gente sotto il cielo pregato con selvaggia fede, su la terra lavorata con pazienza secolare». 

Il viaggio materiale e spirituale del protagonista, Giorgio Aurispa, lo porta all’Abbazia di San Clemente a Casauria, descritta in modo dettagliato. D’Annunzio coglie «la santità primitiva» del luogo, che cita spesso nelle sue opere, e ne denuncia anche lo stato di abbandono, definendo l’Abbazia «quasi una rovina». Peraltro aveva protestato realmente contro l’inerzia delle autorità, scrivendo articoli e invocandone il restauro, anche se al tempo stesso subiva il fascino decadente di quel suolo «ingombro di macerie e di sterpi». Tra quelle pagine appare nitida anche l’immagine della città natale della madre dell’autore, Ortona, che «biancheggiava come un’ignea città asiatica su un colle della Palestina, intagliata nell’azzurro, tutta in linee parallele, senza i minareti». 

Descrizioni accurate e accorate sono dedicate anche a San Vito Chietino; in questa località della Costa dei Trabocchi, D’Annunzio trascorse due mesi intensi di passione nell’estate del 1889 insieme alla sua amante Elvira Fraternali Leoni, da lui chiamata Barbara. La relazione tra i due, entrambi sposati, nacque da un incontro casuale in una libreria a Roma; per vivere la loro passione, lontano da sguardi indiscreti e da scandali, si rifugiarono a San Vito Chietino, in un’abitazione che era stata individuata da Francesco Paolo Michetti, pittore e amico fraterno di D’Annunzio, originario di Francavilla, a cui il romanzo fu dedicato. Il casale, oggi noto come Eremo Dannunziano, aveva un aspetto rustico e semplice anche se godeva di un ottimo panorama. D’Annunzio si preoccupò di avvertire in una lettera l’amante dei possibili disagi: «Oh, amor mio, che nido strano e meraviglioso! Bisognerà che sii molto paziente, perché ogni comodo della vita mancherà». D’Annunzio e Barbara rimasero a San Vito Chietino per circa due mesi, dal 23 luglio al 22 settembre.
 
Mentre vivevano questa storia di intensa passione, iniziava anche la stesura del Trionfo della morte: personaggi del luogo e descrizioni del paesaggio entrano con forza fra quelle pagine e i due amanti protagonisti del libro, Giorgio e Ippolita, trovano la morte proprio sul promontorio dove era situata l’abitazione. L’Abruzzo, con la religiosità e le superstizioni delle sue genti, con i trabocchi, definiti poeticamente strane macchine da pesca o ragni colossali, con la sua natura quasi spietata ma ricca di fascino, ha un ruolo importante nel romanzo. Viene citata anche la famosa Presentosa, gioiello tipico del Molise e dell’Abruzzo. Uno dei luoghi di questa produzione artigianale era proprio Guardiagrele, «la città di marmo»: qui risiede la famiglia di Giorgio Aurispa e qui ha inizio il romanzo. D’Annunzio descrive la Presentosa come «una grande stella di filigrana con in mezzo due cuori». Il gioiello, realizzato in oro e a volte in argento, veniva portato ben visibile sul petto, come un ciondolo, spesso ornato da cuori. La tradizione, risalente all’inizio del XIX secolo, vuole che fosse il primo dono in occasione dell’annuncio di un fidanzamento, motivo per cui il suo nome potrebbe derivare dal termine presenténze, cioè presentazione.

D’Annunzio ha contribuito in modo decisivo alla diffusione del patrimonio ambientale, artistico e culturale dell’Abruzzo e con quelle poche righe dedicate alla Presentosa fece sì che questa eccellenza del grande artigianato abruzzese divenisse nota a livello nazionale. Ma un ulteriore rilancio è avvenuto in tempi più recenti, quando in occasione del vertice G8 tenutosi all'Aquila nel luglio 2009, tre mesi dopo il terremoto che aveva colpito l’Abruzzo, il Presidente della Regione regalò una Presentosa a ognuna delle first ladies presenti.

Crediti della foto
Foto di Gabriele d'Annunzio, 1904; via Wikimedia Commons.