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San Benedetto nell'arte di Signorelli e Sodoma

Una ‘città in forma di monastero’, così è stato definito il complesso monastico dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, per la sua estensione e l’ampiezza degli edifici sorti su una collina nell'area delle Crete Senesi. Un luogo peculiare, che racchiude un patrimonio spirituale fortemente radicato nell’ambiente naturale e nelle tracce che l’opera dell’uomo, con il lavoro e la creatività artistica, ha lasciato sul territorio. 

Fondata nel 1319 da san Bernardo Tolomei come sede della Congregazione Benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto, fin dalle origini mostra un forte riferimento al culto mariano ‒ che trova rappresentanza simbolica nell’abito bianco dei monaci ‒, e alle radici benedettine che ispirano l’organizzazione interna. La nobile famiglia senese dei Tolomei sostenne l’iniziativa del fondatore, che dopo una lunga esperienza eremitica, con il consenso del vescovo di Arezzo Guido Tariati, diede vita con i suoi proseliti alla Congregazione olivetana. 

Nel solco della Regola benedettina, alla preghiera e al culto si è affiancata fin dall’inizio un'intensa attività agricola e la presenza dei monaci ha lasciato il suo segno nel territorio circostante, in cui si alternano, creando un panorama unico, vigne, oliveti e precipizi naturali. Il modello di vita praticato nel monastero è dunque inscritto dentro al paesaggio, attraverso gli edifici e le aree coltivate, e la realtà tangibile rimanda con la sua geografia all’ordine dell’altrove spirituale. 

In modo conforme all’impostazione benedettina, l’architettura coniuga le funzioni pratiche e quelle simboliche, sottolineando la prevalenza del divino su ciò che è terreno. Ma la subordinazione della vita pratica alle esigenze spirituali non significa che ne venga ignorata l’importanza nella vita quotidiana: al contrario, il labor, elemento cardine dell’approccio benedettino, e imprescindibile supporto alla spiritualità stessa, si è articolato fin dall’inizio nell’agricoltura e nell’organizzazione interna al monastero. Il cuore della struttura è il chiostro: il Chiostro Grande mostra come la stessa vita monastica sia comunione con Dio, attraverso il visibile cielo soprastante, ma svolge al tempo stesso la funzione pratica di collegamento fra tutti i locali del monastero. 

È tuttavia anche il luogo che racchiude l’opera forse più rilevante e completa nella storia dell’arte dedicata alla vita di san Benedetto, voluta dall’Abate Domenico Airoldi di Lecco. Si tratta di 35 grandi affreschi raffiguranti la vita del santo, dipinti da Luca Signorelli ‒ che realizzò tra il 1497 e il 1498 otto lunette, ma abbandonò poi l’opera per dedicarsi al ciclo di affreschi Storie degli ultimi giorni per la Cappella di San Brizio del Duomo di Orvieto ‒ e in seguito da Antonio Bazzi detto il Sodoma, che dal 1505 completò il ciclo con le lunette mancanti. La fonte a cui sono ispirati gli affreschi del chiosco è il racconto della vita di san Benedetto per come è riportato da san Gregorio Magno nel Libro II dei Dialoghi. Gli episodi narrati sono a volte drammatici, come la decima scena del lato est, realizzata dal Sodoma, che descrive il tentato avvelenamento del santo, perpetrato da alcuni suoi confratelli, insofferenti per la rigida disciplina, oppure la morte del traditore Florenzo, dipinta dal Signorelli come ventunesima scena del lato ovest. Altri affreschi evocano invece episodi legati alla vita quotidiana, i momenti in cui appare l’umanità del santo, le tentazioni: Benedetto che si rotola tra i rovi per scacciare pensieri sensuali; o ancora il perfido Fiorenzo che invia alcune belle fanciulle per ‘distrarre’ i confratelli. In altri ancora si raccontano i miracoli o il leggendario incontro con il re Totila, che cerca di mettere alla prova Benedetto inviandogli in prima battuta un suo emissario travestito da re ma viene subito smascherato, rimanendo impressionato e traendone ispirazione; o ancora prendono vita scene corali popolate di cavalieri e contadini che ci mostrano allo stesso tempo uno straordinario campionario di oggetti, vestiti e consuetudini del tempo. Sodoma ci ha lasciato inoltre un suo autoritratto nella scena Come San Benedetto risalda lo capistero [vaso] che s’era rotto, la terza del lato est. Nella dodicesima scena del lato sud, Come San Benedetto riceve li due giovinetti romani Mauro e Placido, ha invece inserito il ritratto di Luca Signorelli e di altri pittori, fra cui Leonardo e Botticelli. Nello stesso chiostro Sodoma ha dipinto anche Gesù che porta la croce e Gesù alla colonna, che introducono al De Profundis, antico luogo di sepoltura dei monaci. 

Il percorso nell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore è dunque allo stesso tempo un’immersione nella natura, nell’arte e nella spiritualità, un viaggio nel tempo, un’esperienza che rappresenta una forte rottura rispetto ai ritmi e alle priorità della vita contemporanea, dettati dal consumo e dall’utilitarismo. Un momento di pace, per lo spirito e per il corpo.

 

Crediti della foto
Dettaglio dell’affresco “Come Benedetto pregato dai monaci produce l'acqua dalla cima di un monte”; courtesy of Abbazia di Monte Oliveto Maggiore.