Bambini, lavoratori, anziani, persone ai margini della società o della buona borghesia, autoscatti con la propria immagine riflessa nelle vetrine o con un’ombra che si allunga a suggerire la sua presenza-assenza, frammenti irripetibili di vita quotidiana, resi unici da uno sguardo acuto, che sa coglierne un dettaglio, fissare l’attimo, un’espressione del viso, un gesto: lo sguardo di Vivian Maier scandaglia il tessuto urbano delle grandi città americane, ne racconta le storie e i protagonisti e ne manifesta le contraddizioni attraverso il suo obiettivo, fermando ciò che normalmente scivola via davanti agli occhi dei passanti, fotografando «le persone che gli altri non vedono» come sottolinea Anne Morin, curatrice della mostra Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier inaugurata a Monza il 17 ottobre e aperta fino al 26 gennaio 2025 alla Villa Reale. Una opportunità unica di immergersi nel mondo di una delle più importanti fotografe del XX secolo, vera ‘regina’ per molto tempo sconosciuta della street photography, un genere fotografico che, attraverso scatti spontanei, mai in posa, spesso fatti all’insaputa dei soggetti stessi, riesce a catturare aspetti della società che spesso passano inosservati. Sono infatti esposte duecento fotografie sia in bianco e nero sia a colori, in parte inedite, divise in nove sezioni, che illustrano i temi che hanno caratterizzato la sua esperienza fotografica maturata nell’arco di circa quarant’anni, dall’inizio degli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta. Saranno inoltre visibili alcuni filmati in formato Super 8 realizzati da Maier, provini a contatto, audio e diversi oggetti che le sono appartenuti, in particolare le macchine fotografiche Rolleiflex e Leica, ed è stata allestita una sala speciale, dove si potrà provare la particolare esperienza di Essere Vivian Maier.
Impossibile, nel caso di Vivian Maier, separare la peculiarità del suo lavoro dalla sua singolare biografia e dalle stravaganti circostanze della scoperta del suo archivio. La sua attività fotografica si sviluppò infatti in condizioni molto particolari e in simbiosi con la sua vicenda personale: Maier lavorò per quarant’anni come bambinaia al servizio di famiglie benestanti e scattò la maggior parte delle sue foto girando per le strade di New York e di Chicago, in parte mentre esercitava la sua professione, cioè quando era insieme ai bambini di cui si prendeva cura. I piccoli, dalle testimonianze che abbiamo, si legavano fortemente a lei (nell’ultima parte della sua vita, ormai indigente, furono tre suoi ex ‘protetti’, divenuti adulti, a prendersi cura di lei) e le famiglie l’apprezzavano, nonostante quel lavoro venisse da lei vissuto come una necessità e non certo come una vocazione. Non riuscì mai del resto a trasformare la sua passione in un lavoro con cui mantenersi e a cui dedicarsi completamente: al contrario, ebbe sempre una certa difficoltà, per motivi economici, a stampare le sue foto e verso la fine della sua vita ulteriori problemi economici le impedirono persino di conservare il suo notevole archivio fotografico. La sua opera fu conosciuta da un pubblico vasto soltanto dopo la sua morte e solo alcune fortunate circostanze hanno impedito che il suo talento rimanesse per sempre nascosto. Il contenuto di un magazzino preso in affitto da Maier per conservare gli scatoloni con i suoi negativi fu messo all'asta a causa di mancati pagamenti e in parte acquisito da John Maloof, giovane di Chicago all’epoca intenzionato a scrivere un libro sulla sua città e in cerca di materiale iconografico per approfondirne la storia. Maloof scoprì così nel 2007, poco prima della morte di Maier, la straordinaria produzione di questa misteriosa e sconosciuta fotografa: non fece in tempo a incontrarla ma iniziò un paziente lavoro per recuperare quell’immenso patrimonio di immagini e, proprio attraverso le foto, ricostruire almeno parzialmente gli elementi di una straordinaria vicenda di talento e di creatività. La sua figura riservata, schiva, indipendente ed enigmatica è stata a volte accostata a quella di Emily Dickinson, che non pubblicò nulla mentre era in vita ed era portatrice di una proposta innovativa nello stile e nei contenuti che difficilmente poteva essere apprezzata dai suoi contemporanei, mentre era invece destinata a un grande successo postumo, incontrando il favore di nuove generazioni. Il parallelo può essere solo parziale, se si pensa alla vita solitaria e rarefatta della poetessa, in volontario esilio nella sua dimora, e a Maier immersa nelle contraddizioni e nel caos della città, nella vita di strada di cui è osservatrice e partecipe, ma l’opera di entrambe ha rischiato di rimanere invisibile e dimenticata. Le molteplici impronte lasciate da Maier con le sue immagini ci restituiscono una storia affascinante ma piena di lacune e di vuoti. Ci donano qualcosa però di ancora più prezioso: la vita quotidiana di moltitudini urbane e i lati meno conosciuti, potremmo dire il ‘negativo’, per usare una metafora fotografica, del sogno americano.
Crediti della foto
Vivian Maier, Chicago, IL, n.d., Gelatin silver print, 2014 © Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY