CARRELLO 0

Non ci sono altri prodotti disponibili per l'acquisto

Aggiungi note sull'ordine
TOTALE Gratis

Visualizza il carrello
Spese di spedizione, imposte e codici sconto vengono calcolati in fase di pagamento

Il tuo carrello è vuoto.

Casa Papanice, dove abita il cinema

Casa Papanice, situata al numero 1 di via Giuseppe Marchi, a Roma, nel quartiere Nomentano, è un capolavoro dell’architettura postmoderna che porta la firma di Paolo Portoghesi. Attualmente è la sede dell’ambasciata di Giordania e pur conservando la sua straordinaria bellezza e il suo fascino sta subendo un processo di progressivo decadimento. 

L’imprenditore pugliese Pasquale Papanice la commissionò per utilizzarla come sua dimora, lasciando completamente carta bianca al giovane, ma già affermato, architetto Paolo Portoghesi e all’ingegnere Vittorio Gigliotti. Portoghesi aveva già realizzato a Roma alcuni anni prima Casa Baldi, in via Sirmione, nei pressi della via Flaminia, sviluppando in modo creativo il rapporto fra la nuova costruzione e il particolare ambiente circostante. Casa Papanice, progettata da Portoghesi e Gigliotti nel 1967 e realizzata dall’azienda edile di Papanice nei due anni successivi, è diventata subito un simbolo non solo dell’architettura postmoderna ma anche di un clima culturale che la società italiana e Roma in particolare stavano attraversando, in un’epoca di aspettative e cambiamenti.

L’edificio è un villino signorile su tre livelli, con un alloggio per piano e un piccolo attico. Le pareti perimetrali presentano una originale curvatura, dove si alternano linee concave e convesse. L’esterno è rivestito da bande verticali in maiolica, di colori diversi - verde, azzurro e bianco - che richiamano gli elementi naturali, mentre i parapetti dei balconi sono realizzati con canne d’organo in metallo. All’interno, un gioco di muri inflessi consente un equilibrio con l’esterno e una bilanciata estensione spaziale. Il progetto anticipa gli sviluppi postmoderni del periodo successivo e anche l’evoluzione dello stesso Portoghesi, che poté esprimere in questa occasione, senza vincoli, la sua visione. 

In seguito alla morte di Pasquale Papanice, l'edificio fu venduto nel 1972 alla casa editrice Giunti, per poi assumere la sua attuale destinazione. La palazzina ha subìto alcune modifiche e lo stato di conservazione dei diversi elementi non appare adeguato: anche grazie all’interessamento di Edmondo Papanice, nipote del costruttore e autore di un libro dedicato proprio a Casa Papanice, si è creato interesse anche da parte delle istituzioni per il restauro, la salvaguardia e la promozione dello storico edificio. Edmondo Papanice è legato alla dimora anche per la sua personale vicenda, perché proprio in via Giuseppe Marchi, durante i lavori di costruzione, si incontrarono suo padre e il monsignore libanese Edmond Farhat, che divenne poi uno dei più importanti diplomatici della Santa Sede. Il legame che si creò tra loro ebbe delle conseguenze determinanti per il destino di Edmondo, protagonista, a neanche un anno di vita, di un evento drammatico: nato in una famiglia libanese a Beirut, Edmondo fu ritrovato tra le macerie di un edificio alla periferia della città, tra i pochi sopravvissuti di un intero quartiere. La mediazione di Farhat consentì ad Edmondo di essere adottato dalla famiglia Papanice, e di crescere così in Italia. 

Casa Papanice esercitò subito una grande fascinazione sul mondo del cinema e venne utilizzata nei primi anni Settanta come location originale e stimolante. Non fu un caso, come ricorda Edmondo Papanice: «Mio nonno aveva cominciato dal nulla. Aveva solo la terza elementare, ma con la sua intelligenza creò una fortuna. Con questa casa voleva lasciare un segno. A Portoghesi, al tempo trentacinquenne, diede carta bianca. Chiese solo: voglio che questa sia anche la casa del cinema». Nel 1970 Ettore Scola girò nell’edificio alcune importanti scene del suo Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) con protagonisti Monica Vitti, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini coinvolti in un triangolo sentimentale, con risvolti sia comici sia drammatici. Nella trama del film, il villino rappresentava la dimora di un ricco macellaio con cui Adelaide (Monica Vitti) si fidanza senza troppa convinzione, per uscire dai dilemmi e dalle difficoltà della sua vita. Memorabile la battuta di Monica Vitti alla vista della decorazione esterna della casa: «Ma che so' tutte 'ste canne?». 

Negli anni successivi furono girate altre due pellicole che poi diventarono titoli cult nel loro genere. Nel 1971 Sergio Martino vi ambientò Lo strano vizio della signora Wardh, un giallo con Edwige Fenech, George Hilton e Ivan Rassimov. Un film di genere, che aveva colpito Quentin Tarantino al punto da riprenderne la sigla in Kill Bill 2. Sergio Martino ha sottolineato l’importanza dell’ambientazione: «Quel tipo di costruzione all'esterno sembrava un organo, qualcosa di straordinario. I suoi disegni all'interno, che lo rendevano in un certo senso onirico […] furono artefici del successo che poi ebbe il film». Nel 1972 fu la volta di La dama rossa uccide sette volte, l’ultimo film di Emilio Miraglia, con Barbara Bouchet, Marina Malfatti e Ugo Pagliai, che interpretava Martin, proprietario dello stabile. 
Anche Federico Fellini volle visitare l’edificio e ne restò così ammirato da dire: «Questo ambiente è essenza del mio cinema». Casa Papanice ha avuto un ruolo rilevante nella storia dell’architettura del Novecento e ha contaminato con la sua originalità e la sua bellezza una stagione del cinema italiano, un motivo in più per salvaguardarne e valorizzarne l’aspetto originale.

 

Crediti della foto 
Foto di Edmondo87, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons