Per Filippo Tincolini, la scultura è un percorso di scoperta, in un dialogo continuo tra materia e tempo. Dopo la formazione all’Accademia di Belle Arti di Carrara, e le esperienze nei laboratori di marmo della città, negli anni Tincolini ha dato forma alla propria arte unendo al sapere tradizionale l’innovazione tecnologica. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua ultima personale, Human Connections, a Pietrasanta fino al 2 giugno: un progetto d’arte diffusa in cui le sculture popolano lo spazio urbano e il marmo diventa il mezzo attraverso cui esprimere le relazioni umane, dare vita a connessioni tra mitologie antiche e contemporanee, affrontare temi sociali e di attualità.
Filippo, il tuo percorso artistico si è sviluppato da Carrara, luogo in cui il marmo è letteralmente parte integrante del territorio. Quanto e come incide tutto questo nella formazione di un giovane scultore?
Il marmo, per me, è stato un compagno di viaggio silenzioso ma costante. Crescere a Carrara significa avere il marmo come presenza quotidiana, una materia che ti osserva e ti sfida. Non è solo un materiale da scolpire, ma una presenza che ti accompagna, ti forma e ti interroga. È attraverso questo dialogo continuo che ho iniziato a comprendere la scultura come un percorso di scoperta reciproca.
Nella tua pratica artistica si fondono innovazione e tradizione: dove finisce la componente tecnologica e subentra l’insostituibile elemento umano?
La tecnologia, come i robot di Robotor, è uno strumento potente che amplia le possibilità espressive. Tuttavia, è l'intenzione di fare scultura che guida ogni scelta. È il desiderio di dare forma a un'idea, di comunicare un'emozione, che conferisce significato al processo creativo. La tecnologia può facilitare, ma è l'intento umano a dare vita all'opera.
A proposito di elemento umano, fino al 2 giugno Pietrasanta ospita il tuo ultimo progetto espositivo Human Connections. In quali opere si esprime maggiormente questa tua riflessione sulla condizione umana?
La serie delle divinità antiche rappresenta una riflessione sulla nostra necessità di proiettarci nel mito. Attraverso queste figure, esploro come l'uomo contemporaneo cerchi ancora oggi riferimenti simbolici per comprendere sé stesso e il mondo. È un dialogo tra passato e presente, tra l'eterno e il contingente, che rivela la nostra costante ricerca di significato.
Un tema ricorrente delle opere esposte è questa contaminazione tra icone della classicità e simboli della cultura pop. Cos’hanno quindi in comune il Laocoonte e Batman?
Il Laocoonte e Batman, pur appartenendo a epoche e contesti diversi, condividono l'archetipo dell'eroe tormentato. Entrambi affrontano forze superiori, siano esse divine o interiori, e incarnano la lotta tra destino e volontà. Le loro storie ci parlano della condizione umana, della resilienza e della complessità dell'animo.
All’interno di Human Connections è nato Rebirth from Waste, un progetto di arte partecipata. Che tipo di esperienza è stata?
Rebirth from Waste è un progetto che nasce dalla collaborazione con ANFFAS MS, coinvolgendo persone con disabilità intellettive nella creazione di sculture realizzate con materiali riciclati. È un'iniziativa che unisce arte e inclusione, trasformando gli scarti in opere significative e dando voce a chi spesso è marginalizzato. Attraverso questo progetto, la scultura diventa un mezzo di espressione collettiva e di rinascita.
C'è qualche altro materiale, oltre al marmo, che ti incuriosisce per le sue potenzialità espressive?
Il tempo è una materia intangibile che cerco di inserire sempre nelle mie opere. Non si tratta di un materiale fisico, ma di una dimensione che conferisce profondità e significato alla scultura. Attraverso l'uso di materiali che invecchiano, si trasformano o interagiscono con l'ambiente, cerco di rendere visibile il passare del tempo e la sua influenza sull'opera e sull'osservatore.
Crediti della foto
Courtesy of Filippo Tincolini Studio, fotografia di Laura Veschi.