D’arder sempre piangendo non mi doglio; forse avrò di fedele il titol vero,
caro a me sovr’ogn’altro eterno onore.
Non cangerò la fe’ né questo scoglio ch’al mio Sol piacque, ove fornire spero
come le dolci già quest’amare ore.
Vittoria Colonna, Rime amorose disperse, Sonetto 29, Sperai che ’l tempo i caldi alti desiri, vv. 9-14.
Lo straordinario paesaggio di Ischia ‒ e del Castello Aragonese in particolare ‒ è spesso evocato nell’opera poetica di Vittoria Colonna, che lega i luoghi al rimpianto per il marito Ferdinando Francesco d’Avalos, detto Ferrante, morto nel dicembre del 1525 a causa delle ferite riportate nella battaglia di Pavia. Le Rime, d’ispirazione petrarchesca, non furono mai pubblicate durante la vita dell’autrice, ma circolarono attraverso manoscritti da lei stessa donati ad amici e ammiratori, tra cui Michelangelo Buonarroti. Nei testi, nonostante sia la figura centrale, il nome di Ferrante non appare mai; Vittoria si riferisce infatti all’amato come «il mio bel Sole» e divide la sua esistenza in due periodi nettamente distinti. Quella vissuta con il marito nel Castello Aragonese è una stagione felice, interrotta però da mesi di angoscia e preoccupazione collegati alle numerose e prolungate assenze di lui per gli importanti incarichi militari svolti al servizio di Carlo V. Segue poi il tempo triste della vedovanza, segnata dal rimpianto e dal lutto. Sullo sfondo ci sono sempre però Ischia e il Castello Aragonese, dimora principale di Vittoria dal matrimonio, celebrato nella cattedrale dell’Assunta il 27 dicembre 1509, fino alla morte avvenuta a Roma il 25 febbraio 1547.
La descrizione del paesaggio è strettamente collegata allo stato d’animo e alla vicenda personale dell’autrice: negli anni della giovinezza e del matrimonio il mare di Ischia è sereno e accogliente («Oh che tranquillo mar, che placide onde solcavo un tempo in ben spalmata barca»). Lo scenario cambia quando nel 1512, dopo la battaglia di Ravenna, il marito Ferrante viene catturato dai francesi insieme al padre di Vittoria, Fabrizio Colonna: «il mar pareva inchiostro» e nonostante sia Pasqua, e ci si trovi quindi «in la gentil stagione», si alza la nebbia mentre soffia un vento fortissimo. Ischia tutta, comprese le creature del mare, piange insieme a Vittoria. «L’amato scoglio» si rasserena soltanto nel ricordo dello sposo e questa memoria lega per sempre la poetessa al luogo, anche nelle «amare ore».
Il Castello Aragonese apparteneva alla famiglia di Ferrante, e già Costanza d’Avalos ne aveva fatto un luogo di riferimento per artisti e intellettuali. Una consuetudine in cui Vittoria si inserì in modo naturale, tanto più che lei stessa era poetessa d’indubbio talento. Vittoria non si limitò a scrivere versi, ma fu anche un’importante animatrice culturale e frequentò alcune delle più grandi menti del suo tempo, tra cui Ludovico Ariosto, Bernardo Tasso, Jacopo Sannazzaro, Pietro Aretino e Michelangelo, con il quale instaurò un legame strettissimo. Fu inoltre vicina al cardinale Reginald Pole, condividendone le idee di riforma radicale della Chiesa: attorno a lui si era formato un circolo culturale, critico verso l’orientamento prevalente, di cui facevano parte anche il cardinale Giovanni Morone, il mistico spagnolo Juan de Valdés, Giulia Gonzaga e lo stesso Michelangelo.
Le ipotesi su una relazione sentimentale fra Buonarroti e Vittoria Colonna sono prive di riscontri fondati; del tutto inverosimile la leggenda che esistesse un tunnel sotterraneo per collegare la Torre di Guevara al Castello Aragonese utilizzato dai due amanti per incontrarsi. In realtà non risulta che l’artista sia mai venuto a Ischia; i due straordinari personaggi, legati da un rapporto che richiama l’amore platonico, svilupparono un’importante corrispondenza e si frequentarono durante i soggiorni di lei a Roma e a Viterbo. Michelangelo aveva una stima profonda per la nobile poetessa tanto da affermare «un uomo in una donna, anzi uno dio / per la sua bocca parla, / ond’io per ascoltarla, / son fatto tal, che ma’ più sarò mio». Ciò che colpisce il lettore moderno in questi versi è certamente la mascolinizzazione dell’amica, così come suona singolare il suo commento alla morte di Vittoria: «Morte mi tolse un grande amico!».
Nel corso dei secoli le vicende del Castello d’Aragona non furono sempre luminose: dopo il grande splendore del XVI secolo - quando ospitava 1892 famiglie, erano in funzione tredici chiese e la cultura era vivace - seguirono periodi di spopolamento e di decadenza. Nel corso del XVIII secolo gli abitanti di Ischia preferirono trasferirsi in altre zone più adatte alle loro attività e, nel 1809, ai tempi di Gioacchino Murat, il bombardamento inglese contro il presidio militare francese distrusse quasi completamente la fortezza. Quel che restava del Castello fu adibito in seguito a prigione e ospitò gli oppositori del regno borbonico, per poi perdere tale funzione con l’Unità d’Italia. Dopo un lungo periodo di abbandono, nel 1912 Nicola Ernesto Mattera acquistò tutto il complesso e avviò un percorso di restauro. Da allora l’intera struttura è gestita da privati e ha man mano riconquistato la sua originale bellezza.
In questi anni di graduale rinascita è rifiorita anche la sua anima culturale: il Castello è divenuto un’importante meta turistica e dal 2003 ospita l’lschia Film Festival, un evento che ogni anno accende le luci del cinema internazionale sulla fortezza, con proiezioni diffuse capaci di dar vita a un connubio straordinario con i temi e i luoghi messi a fuoco nei film proposti, spesso geograficamente lontani. Un’occasione in cui il Castello Aragonese torna a vivere come spazio di incontro di idee, memorie, sguardi e parole che, nello scambio tra artisti, intellettuali e pubblico, sembra quasi conservare l’impronta della sensibilità e della curiosità di una donna inquieta e raffinata come Vittoria Colonna.
Vivi il Castello Aragonese attraverso la cultura con l’Esperienza Ischia Film Festival.
Crediti della foto
Il Castello Aragonese di Ischia, foto di ©-Filippo-Bamberghi