L’esperienza di collaborazione che il grande fotografo Luigi Ghirri ha sviluppato con l’azienda di ceramiche Marazzi ha caratteristiche molto particolari, sia per la lunghezza del sodalizio, dieci anni a partire dal 1975, sia perché il risultato, lontano dai canoni della promozione pubblicitaria, è stato una parte integrante e significativa della sua produzione artistica, ponendosi peraltro a cavallo delle due fasi principali che l’hanno caratterizzata. L’incontro con l’azienda appare, per diversi motivi, necessario, quasi ineludibile: il progetto si sviluppa quando Ghirri ha trentadue anni, ma in un suo scritto pubblicato nella raccolta Niente di antico sotto il sole (1997) racconta di come da bambino osservava tutte le mattine i lavoratori della fabbrica Marazzi recarsi al lavoro in bicicletta. Del resto, la sua ricerca fotografica ha profonde radici nell’infanzia, nell’adolescenza e nell’ambiente in cui le ha vissute: la campagna emiliana, Scandiano, Sassuolo, Modena.
Marazzi, fondata nel 1935 nel distretto di Sassuolo, è un’azienda con una forte vocazione innovativa, che emerge per la sua qualità all’interno di un polo conosciuto in tutto il mondo per la produzione di piastrelle di ceramica. La scelta di questo materiale, come ricorda lo stesso Ghirri, non è stata casuale: «La ceramica ha una storia che si perde nella notte dei tempi. È sempre stata un ‘oggetto’ su cui si vengono a posare altri oggetti: i mobili, i gesti, le immagini, le ombre delle persone che abitano quegli spazi. Realizzando queste immagini, ho ripensato a tutto questo e ho cercato di ricostruire, con l’aiuto di superfici di diversi colori, nella sovrapposizione degli oggetti e delle immagini, uno spazio che, invece di essere lo spazio fisico e misurabile di una stanza, fosse l’idea dello spazio mentale di un momento».
Ghirri coglie l’occasione per approfondire temi e riflessioni sulla funzione stessa della fotografia: interrogare il mondo, per comprendere i meccanismi della percezione, le illusioni, l’architettura, il paesaggio. Le piastrelle accolgono inedite possibilità di composizione, forniscono piani di riferimento differenziati, divengono griglie di orientamento immediatamente sovvertite con l’impiego di specchi, sostengono giochi di ombre e illusioni ottiche, ospitano scene con al centro oggetti comuni: una rosa, un uovo, degli occhiali, la macchina fotografica, i ritagli di giornale. Si configurano quasi come quinte di statiche azioni teatrali, divenendo elementi costitutivi di architetture ideali con richiami classici, in un gioco di rimandi destinato a svelare l’ambiguità dell’azione stessa del vedere.
Le immagini frutto della collaborazione con Marazzi si inseriscono ‒ cronologicamente, ma anche dal punto di vista dei contenuti, delle tecniche, degli spazi ‒ in una fase precisa del percorso creativo di Ghirri, caratterizzato da momenti diversi. L’artista si trova in un momento di passaggio della sua evoluzione: fra la fase degli anni Settanta, in cui si era dedicato a una riflessione sul medium fotografico, e quella degli anni Ottanta, segnata dalla ricorrenza del tema del territorio, esplorato mettendo al centro il rapporto dell’ambiente con l’uomo, che lo abita, lo utilizza, lo trasforma, lo rappresenta. Gli anni degli esordi sono infatti quelli dell’approccio concettuale, per cui la fotografia rappresenta lo strumento e al tempo stesso uno dei soggetti del suo lavoro, con una prospettiva a tratti ironica e surreale. L’evoluzione successiva nasce anche dall’incontro con l’esperienza di Walker Evans che lo avvicina alla straight photography, allo stile documentaristico, allo sguardo frontale e senza artifici tecnici. La produzione di Evans, del resto, contaminò una intera generazione di fotografi italiani, tra cui, oltre a Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Guido Guidi. Ghirri in qualche modo tematizzerà il mutamento della sua prospettiva affermando di essere passato dalla «fotografia di ricerca alla ricerca della fotografia».
I lavori svolti in collaborazione con Marazzi sono proprio nel mezzo di questa evoluzione; alcune delle foto realizzate in quel decennio, sono state riproposte al pubblico trent’anni dopo la morte dell’artista, nel 2021, in una importante mostra al Palazzo Ducale di Sassuolo, riportando l’attenzione su uno dei maestri della fotografia del secondo Novecento.
Crediti della foto
Courtesy of Eredi Luigi Ghirri.