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Lydia Gelmi Cattaneo: un’artista coraggiosa nel Giardino dei Giusti

Il nome di Lydia Gelmi Cattaneo non è conosciuto come questa donna straordinaria meriterebbe; eppure nel 1974 ha ottenuto il riconoscimento come Giusta fra le Nazioni per il ruolo che ha svolto nel salvataggio di numerosi ebrei nel periodo delle persecuzioni naziste: del resto a questa mancata notorietà ha contribuito la sua stessa riservatezza, il voler operare per il bene senza apparire, senza attribuirsi meriti speciali nonostante il carattere eccezionale della sua esperienza. 

Nata nel 1903 a Presezzo, un piccolo comune in provincia di Bergamo, si trasferì, in seguito al matrimonio con il tenente degli Alpini Camillo Cattaneo, a Ponte San Pietro; la coppia ebbe quattro figli ma Lydia continuò a coltivare i suoi interessi culturali e le sue passioni. Miniaturista apprezzata a livello internazionale, per un ritratto allo scià di Persia fu invitata a Teheran; realizzò anche una miniatura della regina Elena di Savoia e di Angelo Roncalli, al quale fu legata da una lunga e profonda amicizia, che non si interruppe neanche durante il pontificato. Personalità di grande apertura al dialogo fra culture diverse, ebbe una visione tutt’altro che conservatrice dell’appartenenza religiosa e benché cattolica praticante leggeva Confucio e Buddha. 

In una stagione in cui era predominante una visione patriarcale del ruolo delle donne, Lydia Gelmi Cattaneo fu una sostenitrice dei diritti femminili e non è casuale che sia stata la prima donna a Bergamo, nel 1932, ad avere ottenuto la patente di guida, quasi una simbolica rivendicazione e certificazione del diritto all’indipendenza. Non mancarono infatti altre prese di posizione in linea con la sua libertà intellettuale, poco incline ad accettare limiti e imposizioni: durante la dittatura fascista non si lasciò intimidire nemmeno da Benito Mussolini, al quale scrisse una lettera personale, manifestando il proprio dissenso perché in un suo discorso rivolto all’intera nazione, aveva trascurato di mettere in luce l’importanza del ruolo delle donne. La sua casa era un punto d’incontro di intellettuali e personaggi noti, come lo scrittore Curzio Malaparte; frequentava esponenti di rilievo del regime come Gian Galeazzo Ciano, ma respingeva l’idea di dover indirizzare i propri affetti e le proprie simpatie secondo le direttive del regime e fra i suoi amici annoverava anche numerose persone di origine ebraica, come la famiglia Weiss. 

La sua apertura mentale, una forte tensione morale e legami personali profondi la spinsero fin dall’inizio a rifiutare le leggi razziali promulgate dal fascismo nel 1938. Con l’acuirsi delle persecuzioni contro gli ebrei compì una precisa scelta di campo, decidendo di aiutare chi tentava di riparare all’estero. Le prime persone di cui si prese cura con coraggio furono Irene Weiss e la sua famiglia. Ma non si limitò a proteggere chi conosceva e si prodigò con ogni mezzo per salvare i perseguitati: li nascondeva, a volte anche nella sua stessa casa a Ponte San Pietro, procurava loro documenti falsi, raccoglieva fondi. Grazie al suo impegno furono in tanti a sfuggire allo sterminio trovando riparo in Svizzera. 

Alla fine della guerra, con il crollo del fascismo e del nazismo, non rivendicò i suoi meriti, che non furono pubblicamente riconosciuti quindi negli anni immediatamente successivi all’Olocausto. Dopo la morte del marito nel 1956, Lydia andò a vivere nel Castello di Valverde, di proprietà della famiglia Cattaneo e in questa prestigiosa dimora, da cui si gode una straordinaria vista su Bergamo Alta, risiedette fino alla morte nel 1994. 

Appassionata di archeologia, compì numerosi viaggi e si recò più volte in Israele; nel 1974, sulla base di numerose testimonianze, Lydia Gelmi Cattaneo ottenne il riconoscimento di Giusta fra le Nazioni. Il Parlamento israeliano nel 1953 aveva fondato a Gerusalemme sul Monte della Rimembranza (Har Hazikaron), il Memoriale di Yad Vashem, dove sono ricordati quei coraggiosi che si opposero alla barbarie dell’Olocausto. Il titolo che le è stato conferito viene attribuito ai non ebrei che durante la Shoah, disinteressatamente e a loro rischio, salvarono la vita agli ebrei, basandosi in primo luogo sulle testimonianze dei sopravvissuti. E così, lungo il viale del Giardino dei Giusti, venne piantato un piccolo carrubo con una targa recante il nome di Lydia Gelmi Cattaneo. 

La memoria di Lydia viene dunque custodita in tre luoghi speciali a cui la sua esistenza è fortemente legata: la sua casa a Ponte San Pietro dove tanti trovarono rifugio e salvezza, il Castello di Valverde dove visse a lungo e nel Giardino dei Giusti, dove il suo coraggio e la sua forza morale trovarono infine riconoscimento.