Conterranei, ma separati da confini ben precisi, ‘cugini’ ma diversi, il Culatello di Zibello e il Prosciutto di Parma si contendono il primato tra le eccellenze della regione emiliana. Le caratteristiche che condividono sono molte: entrambi prodotti DOP (Denominazione di Origine Protetta) e caratteristici del parmense, utilizzano la carne degli stessi suini, maiali di razza Large White, Landrace e Duroc, originari di alcune regioni dell’Italia centro-settentrionale. Le differenze però sono notevoli: zone di produzione, parti di carne impiegate, ingredienti, stagionatura. L’autentico Culatello di Zibello DOP nasce nella Bassa Parmense, nei pressi del confine con la Lombardia e viene prodotto esclusivamente in otto località della provincia di Parma: Zibello appunto ‒ che dà origine al nome del salume stesso ‒, Polesine Parmense (ora accorpate nel Comune di Polesine Zibello), Busseto, Soragna, Roccabianca, San Secondo Parmense, Sissa e Colorno; dal 2016 anche il comune di Sissa è stato soppresso e fuso nella realtà amministrativa Sissa Trecasali, ma la produzione del culatello continua a svolgersi solo nel territorio di Sissa. Tanta meticolosità nel definire gli esatti confini può stupire, ma non si tratta di campanilismo estremo o di pedanteria fine a sé stessa: è un’attenzione che mostra piuttosto il rigore filologico con cui la tradizione viene custodita, per ragioni ben precise e radicate nella natura stessa dei luoghi.
Nella zona di produzione del culatello, quella più vicina al Po, gli inverni sono freddi e nebbiosi, mentre le estati calde e assolate. Un’alternanza che favorisce la maturazione del prodotto e contribuisce a definirne il sapore e il caratteristico profumo. Il Prosciutto di Parma è invece un prodotto della collina, dove la temperatura è più equilibrata, e umidità e ventilazione influiscono sulla formazione del prodotto come lo conosciamo. La lavorazione deve avvenire interamente in un'area della provincia di Parma posta ad almeno 5 km a sud dalla via Emilia, delimitata a est dal torrente Enza e a ovest dal torrente Stirone. La stagionatura del Prosciutto di Parma e del Culatello di Zibello si svolge nelle rispettive zone di produzione e ha tempi e condizioni leggermente diversi: almeno dieci mesi per il culatello, con esposizione alla luce e all’umidità naturale; almeno quattordici mesi per il prosciutto, nelle cosiddette cantine, che mantengono le necessarie condizioni di umidità e temperatura. Per il prosciutto crudo si usa tutta la coscia, avvolta dalla cotenna, e si tratta di un salume, non di un insaccato; per il culatello è invece impiegata soltanto la parte più pregiata e tenera, ovvero la carne del gluteo, senza il fiocco e il gambo, scotennata e insaccata nella vescica che assume la caratteristica forma ‘a pera’.
Una ulteriore differenza fra prosciutto e culatello è nella lista degli ingredienti che vengono aggiunti alla carne: per il crudo di Parma soltanto sale marino, per il culatello vengono utilizzati invece sale, nitrato di sodio e pepe in grani spaccati, ma in alcuni casi viene impiegata anche una concia composta da vino bianco e aglio pressato. Il risultato di questi processi è un sapore più deciso per il prosciutto e più delicato per il culatello, rimanendo entrambi nel campo delle eccellenze a livello globale.
La nascita di questi prodotti affonda le radici in tempi lontanissimi, e se in qualche caso le notizie ci arrivano contornate da un alone di leggenda le testimonianze che abbiamo ci raccontano senza dubbio di una storia secolare, se non millenaria. L’origine del culatello viene collegata per tradizione alla costituzione del feudo dei Pallavicino, che favorirono l’allevamento dei suini ed ebbero in generale un ruolo determinante nella vita di Busseto, Zibello e Polesine dal 1249 fino all’epoca napoleonica. Non è un caso che i colori argento e rosso che caratterizzavano il loro blasone siano stati oggi ripresi nel marchio del Consorzio di tutela del Culatello. La tradizione vuole che già nel 1332 alcuni culatelli siano stati recati in dono agli sposi e consumati durante il banchetto di nozze in occasione del matrimonio fra Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanvitale. I Pallavicino avrebbero fatto in diverse occasioni omaggio con il culatello a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Nel corso dei secoli i riferimenti si moltiplicano. Le prime citazioni letterarie sono opera del poeta dialettale parmigiano Giuseppe Maria Callegari che nomina, nei primi anni dell’Ottocento, il culatello fra le pietanze servite addirittura in Paradiso. Contribuì alla sua fama anche Gabriele D’Annunzio, decantandone la «salata e rossa compattezza porcina» e confessandosi «un cupidissimo amatore del parmense culatello».
La produzione degli antenati dei moderni prosciutti si fa risalire addirittura agli etruschi. Gli antichi romani denominavano i prosciutti pernae (gambe) e pernarius colui che produceva e commerciava prosciutti. Del consumo e della produzione parlano Marco Porcio Catone il Censore, che ne descrive la salagione, e Marco Terenzio Varrone. Le citazioni nella letteratura italiana sono frequenti. Cristoforo di Messisbugo, cuoco letterato ferrarese e maestro di casa alla corte degli Estensi, racconta dettagliatamente nel suo libro del 1549 la preparazione dei prosciutti. Pomponio Torelli (1539-1608), letterato e diplomatico alle dipendenze del Duca Farnese, evoca, nell’Antica festa crudele, la ‘maialatura’ che consentiva la preparazione dei salumi, così importanti nell’alimentazione dei contadini stessi. Nella Secchia rapita di Alessandro Tassoni si ironizza sui falsi titoli nobiliari e su «un tal signor, che per cavarne frutto i titoli vendea per un presciutto». Il grande Mario Soldati ricorda di aver mangiato nel difficile e affamato 1945 del prosciutto a Parola, in provincia di Parma, e di aver raggiunto «la vetta della felicità». Ma anche scrittori stranieri rendono omaggio a questa specialità tradizionale. Osbert Sitwell raccontando il suo passaggio a Parma in Winters of Content del 1932 cita la qualità del cibo e del prosciutto in particolare, che lasciano in lui un ricordo indelebile. La storia del cibo, dei luoghi dove si produce e si consuma e delle persone che li abitano rappresentano un intreccio indissolubile e affascinante.