La storia dello Spumante metodo classico Alta Langa DOCG non è soltanto il percorso di un prodotto di eccellenza. Convergono su quel concreto risultato molteplici fattori che hanno di per sé valore e significato: la tradizione di un territorio, i legami di una comunità locale, il lavoro e l’ingegno di diverse generazioni. Per comprendere le tappe di questo viaggio, non basta soltanto degustare uno spumante: bisogna attraversare campi, conoscere le vigne e le aziende, ma anche scendere nelle viscere di tufo, nelle cattedrali sotterranee di questo culto profano.
L’Alta Langa DOCG è lo spumante metodo classico del Piemonte, il primo del suo genere prodotto in Italia fin dalla metà dell’Ottocento. Rimane anche oggi una produzione con quantità contenute, basata su un disciplinare assai severo: può essere bianco o rosé e prevede l’utilizzo esclusivo di uve Pinot Nero e Chardonnay, in purezza o insieme, in percentuali variabili. L’affinamento sui lieviti dura almeno 30 mesi. L’Alta Langa DOCG è millesimato, riporta cioè sempre in etichetta l’anno della vendemmia, elemento non obbligatorio in altri disciplinari. La zona di produzione è con chiarezza delimitata: situata sulla fascia collinare del basso Piemonte alla destra del fiume Tanaro, comprende 149 comuni delle province di Asti, Alessandria e Cuneo. I terreni devono essere marnosi, calcareo argillosi, con fertilità moderata.
Il grande pubblico associa la produzione di spumante ad altre realtà territoriali e identifica il Piemonte, anche comprensibilmente, con la tradizione dei grandi rossi; eppure non solo lo spumante metodo classico italiano è nato qui più di centocinquanta anni fa ma sta vivendo un grande rilancio negli ultimi tre decenni. Infatti nel 1990 le principali case piemontesi, le cosiddette sette sorelle (Cinzano, Contratto, Fontanafredda, Gancia, Martini&Rossi, Riccadonna e Vini Banfi) sottoscrissero un accordo per rilanciare la produzione sulla base dei vitigni Pinot Nero e Chardonnay. Una sfida all’insegna della cooperazione e della qualità che ha avuto diversi, spesso non facili, passaggi, con un primo brindisi nel maggio del 1999. La base è l’alleanza fra i viticoltori, che rimangono proprietari delle loro terre, le aziende che trasformano il prodotto e l’intera comunità, orgogliosa delle sue tradizioni e delle sue eccellenze. Lo spumante è un significativo elemento anche di attrazione turistica, proprio perché legato alla comunità locale e presente con le sue tracce nel territorio.
È all’inizio dell’Ottocento, infatti, che i conti di Sambuy, influenzati dalla vicinanza geografica e culturale con la Francia, diedero inizio in Piemonte alla coltivazione di alcuni vitigni francesi, in particolare del Pinot Nero, per produrre vini spumanti sul modello di quelli della provincia di Champagne. Carlo Gancia fece un ulteriore passo e nel 1848, dopo aver compiuto studi di enologia, si recò a Reims con l’obiettivo di apprendere i segreti della produzione dello Champagne. Rientrato in Italia avviò nel 1850 a Chivasso, insieme al fratello Edoardo, una piccola azienda vinicola. Negli anni seguenti trasferì la produzione a Canelli, nell’astigiano, e nel 1865 realizzò il primo spumante italiano applicando il metodo Champenoise. Il successo non tardò ad arrivare e iniziò così il lungo percorso dello spumante piemontese metodo classico.
Le necessità stesse della produzione obbligarono a scelte di cui ancora sono visibili le tracce: poiché la lavorazione dello spumante richiede una temperatura costante per tutto l'anno (12-15 gradi centigradi), le aziende si dotarono di ampie cantine, inizialmente modificando i tradizionali ‘crutin’, i grottini sotterranei utilizzati per la conservazione dei cibi e delle merci deperibili in mancanza di frigoriferi. In seguito, la zona collinare e la composizione del terreno di tufo calcareo facilitarono la nascita di gallerie, lunghe e profonde, in grado di conservare in modo stabile la temperatura e il giusto grado di umidità. Nascono così le cosiddette Cattedrali Sotterranee, cantine storiche di Canelli che scendono anche a più di trenta metri nel sottosuolo e costituiscono quasi una città sotterranea del vino. Nel 2014 sono state inserite nella Lista del Patrimonio dell’umanità UNESCO, come parte integrante della città di Canelli e monumento unico al mondo della civiltà enologica. Si possono visitare ed è un’esperienza straordinaria e affascinante: attraversare territori come questo, aiuta a comprendere che il lavoro, le tradizioni e la cultura di una comunità non sono elementi separati e divisibili, piuttosto momenti connessi di un’organica unità.