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L’aceto come dono prezioso

<h2>L’aceto come dono prezioso</h2>

In casa mia mi sa meglio una rapa / ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco / e mondo, e spargo poi di acetto e sapa, / che all'altrui mensa tordo, starna o porco / selvaggio; e così sotto una vil coltre, / come di seta o d'oro, ben mi corco. 

Sono alcuni versi della Satira III di Ludovico Ariosto, composta nel maggio 1518 e indirizzata al cugino Annibale Malaguzzi, che chiedeva al poeta come si trovasse al servizio del duca Alfonso d’Este, dopo i lunghi e per molti aspetti penosi anni trascorsi alla corte di Ippolito d’Este. Incidentalmente, mentre rivendica la sua ansia di indipendenza e il suo disagio, Ariosto esalta la sapa, un tipo di mosto cotto, e l’aceto, prodotti ben presenti nella cucina dell’epoca, soprattutto nella natìa Reggio Emilia e a Ferrara dove si era stabilito. La rapa, resa saporita dalla libertà e da questi preziosi condimenti, è diventata uno degli utili indizi per ricostruire anche la storia dell’aceto balsamico, tipico delle province di Modena e di Reggio Emilia, realizzato con mosti cotti d'uva, fermentati, acetificati e invecchiati per almeno dodici anni. 

La fonte citata è prestigiosa e significativa, ma non è la più antica. La corte estense contribuì in modo notevole alla diffusione del prodotto nell’aristocrazia europea, ma il consumo dell’aceto e del mosto è molto antico e se ne ritrovano tracce arcaiche in Mesopotamia, in Palestina e in Egitto. La cottura del mosto era una pratica diffusa fra i romani che ne ricavavano prodotti come saba, defruntum e caraenum, descritti, nelle loro diverse concentrazioni, da Virgilio nelle Georgiche. Venivano utilizzati per aromatizzare il vino, ma anche come condimenti della carne. Prodotti ricavati dal mosto, che quindi anticipano le potenzialità dell’attuale aceto balsamico, hanno attraversato come un fiume carsico i secoli, dalla fine del mondo antico all’Alto Medioevo. Con ogni probabilità, c’era una netta differenziazione fra un prodotto popolare, destinato al consumo privato e non commercializzato e un altro più raffinato, destinato ai banchetti dall’aristocrazia. Quest’ultimo godeva di grande considerazione al punto da rappresentare un regalo prestigioso e ben gradito. 

La tradizione di donare l’aceto balsamico, ancora viva ai giorni nostri, ha dunque origini molto lontane. Un’importante testimonianza in questo senso ci viene dal poema Vita Mathildis, composto dal monaco benedettino Donizone nel convento di Sant'Apollonio di Canossa fra il 1112 e il 1115 e dedicato a Matilde di Canossa e alla storia della sua famiglia. L’episodio ricordato da Donizone risale al 1046, anno di nascita della contessa, quando Enrico III, duca di Franconia, trovandosi a Piacenza mentre era in viaggio verso Roma per essere incoronato imperatore, inviò alcuni doni a Bonifacio III di Canossa, padre di Matilde. In cambio chiese quel famoso «aceto perfettissimo» di cui molti gli avevano magnificato le qualità, che si faceva nel suo castello. Bonifacio fece allora fabbricare una botticella d’argento, che riempì d’aceto. Completò il raffinato omaggio con una composizione sempre in argento che rappresentava due buoi, un giogo e un carro; fece poi recapitare il tutto tramite un grande carro trainato da due buoi veri. Enrico III fu favorevolmente impressionato dal dono e dalle modalità di consegna. L’omaggio dell’aceto fatto da Bonifacio fu considerato, da Donizone, superiore per prestigio a quelli degli altri feudatari, uno dei quali, Alberto, Vescovo di Mantova, aveva inviato al futuro imperatore cento cavalli e duecento rapaci addestrati per la caccia. In seguito, sono numerose le testimonianze dell’uso dell’aceto come regalo prestigioso utilizzato anche per fini diplomatici dai duchi di Modena e di Reggio, area dove la produzione si stava sempre più affermando, a favore delle diverse corti europee. Il conte Michail Illarionovič Voroncov, Cancelliere imperiale di Russia, trovandosi a Modena in missione nel 1764, chiese l’invio dell’aceto alla zarina Caterina. E un flacone di aceto fu anche il dono che il duca Ercole III inviò per l’incoronazione di Francesco II d’Austria a imperatore. 

L’abitudine di donare aceto balsamico di qualità è ancora molto diffusa, soprattutto nelle province di Reggio Emilia e di Modena. La tradizione lega questa forma di regalo soprattutto ai matrimoni e alle nascite. Si è tramandata per molte generazioni l’usanza per cui un barile o più barili di aceto costituivano una parte della dote dalle spose. Quando nasceva una bambina, la famiglia iniziava ad accumulare aceto, creando una notevole scorta, a cui veniva dato il nome della neonata, per ricordare che era destinata alla sua dote. Se questa pratica è oggi di certo assai meno frequente di un tempo, regalare aceto balsamico nelle diverse occasioni resta ancora un gesto comune e molto apprezzato. 

È ancora l’oro nero più amato a corte: scopri l’Aceto Balsamico di Reggio Emilia con I Cinque Re d’Emilia.