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Quando Al Pacino incantò Spoleto

Il 1968 è una data fondamentale, che segna il Novecento, portando con sé un’ondata di cambiamento in tutti gli ambiti della società, dalla politica all’arte, un sommovimento radicale che non poteva non contaminare anche l’undicesima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Fu un anno di sperimentazioni, di esordi, di fermento. La programmazione comprendeva un ventaglio di proposte assai diverse: anche elementi di repertorio classico, come ad esempio Vivaldi e Mozart, eseguiti in piazza Duomo con la direzione di Thomas Schippers, e la riproposizione di La santa di Bleecker Street opera di Gian Carlo Menotti del decennio precedente. Destarono scandalo Christo e Jeanne-Claude che, con le modalità che li resero famosi a livello globale, impacchettarono con tessuto bianco in polipropilene la fontana in piazza del Mercato e la torre di avvistamento nei pressi del Ponte delle Torri. In realtà, poiché Christo era impegnato in un analogo progetto a Berna, le opere di Spoleto, Wrapped Medieval Tower e Wrapped Fountain, ideate di comune accordo, vennero realizzate soltanto da Jeanne-Claude. Sul palcoscenico, vennero proposti una serata di teatro sperimentale francese curata da Michael Cacoyannis e Il suggeritore nudo di e con Paolo Poli, ispirato a un testo di Filippo Tommaso Marinetti, che aveva suscitato una forte discussione sull’attualità del futurismo.

Ma il Festival di Spoleto del 1968 fu anche l’occasione in cui acquisirono notorietà internazionale e apprezzamento due attori destinati a un successo planetario come Al Pacino e John Cazale che portarono in scena i lavori di un autore teatrale con un importante avvenire di fronte, Israel Horovitz, allora ventottenne. Si tratta di The Indian wants the Bronx e di It’s called the Sugar Plum, due atti unici, presentati in un unico spettacolo, al Teatrino delle Sette. Era prevista la presenza soltanto di queste due opere di Horowitz ma a causa dell’accoglienza e del successo ricevuti, l’autore fu sollecitato a proporre l’8 luglio, in prima mondiale, un altro suo testo, Morning, appena terminato e mai rappresentato. L’incomunicabilità, la difficoltà ad accettare le differenze, i pregiudizi razziali, la violenza erano i principali temi, affrontati nei tre atti unici. In The Indian wants the Bronx, Gupta (John Cazale) l'indiano del titolo, è appena arrivato a New York dal suo Paese natale per far visita al figlio che vive nel Bronx; mentre aspetta l’autobus, subisce l’aggressività di due giovani, Murph (Al Pacino) e il suo più impacciato amico Joey (Matthew Cowles), che non lo comprendono e lo prendono in giro. La situazione degenera poi, con un crescendo di tensione, in una violenta aggressione. Negli Stati Uniti la pièce, proposta nel 1966, aveva vinto tre Obie Awards (Off-Broadway Theater Awards): miglior testo, migliore attore protagonista (Pacino) e migliore attore non protagonista (Cazale). 

Cazale fu scelto dopo che l'attore indiano, selezionato inizialmente, non fu ritenuto appropriato per il ruolo. In seguito, Horovitz scrisse sull'argomento: «È vero, John è italiano, non indù... di Winchester, Massachusetts, non di Delhi. Ma è anche vero che John Cazale è un attore bravo e sensibile». It’s called the Sugar Plum aveva come protagonista Jill Clayburgh: uno studente universitario, Zuckerman, investe un giovane che perde la vita. Riceve la visita di Joanna, la fidanzata della vittima: il dialogo fra i due sfocia in una relazione, e il presente annulla rapidamente la memoria del ragazzo scomparso. Anche Morning aveva una partenza paradossale: una famiglia di afroamericani si risveglia ‘bianca’; dopo un iniziale entusiasmo, percepiscono la difficoltà di adattarsi al nuovo ruolo e abbandonare la propria identità. Storie che, pur se nate nel fermento dell’epoca, presentano una straordinaria attualità.

Il successo dell’autore e degli interpreti fu notevole. John Cazale prese lo slancio per la sua breve ma fulminante carriera, che lo portò tuttavia a interpretare, prima della morte prematura nel 1978, solo cinque film, considerati però pietre miliari nella storia del cinema (Il padrino, La conversazione, Il padrino. Parte seconda, Quel pomeriggio di un giorno da cani e Il cacciatore). Al Pacino ricorda Spoleto come il momento di svolta della sua carriera: «Continuavo a recitare nel Village, facevo spettacoli per bambini al Theater East, recitavo in un piccolo locale di Soho, l’Actors Gallery, e poi arrivò finalmente la svolta: il copione di The Indian wants the Bronx, atto unico di Israel Horowitz. Con alcune pause venni portato in giro per un anno finché arrivai a Broadway, con me in scena c’era John Cazale. Eppure la produttrice di New York mi impose un provino nonostante avessi interpretato il personaggio in tutti i teatri di provincia, alla fine la spuntai. Era il 1968, quell’estate portarono lo spettacolo per due settimane al Festival di Spoleto. The Indian wants the Bronx fu il punto d’arrivo di un percorso che era iniziato quando mia madre aveva cominciato a portarmi al cinema da piccolo. E dopo niente fu più lo stesso». Anche Horovitz attribuisce un significato speciale a quegli spettacoli proposti a Spoleto, tanto da intitolare un capitolo della sua autobiografia Cartoline da Spoleto: «Quando nel 1968 il mio agente mi prospettò la possibilità di venire al Festival dei Due Mondi avevo ventotto anni e mi disse che sarebbe stato un modo per raggiungere il successo planetario. Così fu e subito dopo mi venne offerto di scrivere la sceneggiatura del film The Strawberry Statement [Fragole e Sangue]». Il film uscì nel 1970, con la regia di Stuart Hagmann e fu un successo planetario. La magica atmosfera di Spoleto, in quell’anno di sogni e di speranze, segnò un punto di svolta tanto per quei giovani e sconosciuti artisti quanto per chi assistette a quegli spettacoli innovativi.

 

Crediti della foto
Foto di Bert Andrews in Israel Horovitz, First Season, New York: Random House, 1969.